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"La pizza è gavetta e umiltà": parola di Franco Pepe, miglior pizzaiolo del mondo


Formazione e gioco di squadra gli ingredienti base. Il maestro pizzaiolo, incoronato dalla classifica 50 Top Pizza, guarda avanti e non fa sconti né ai colleghi né alla politica

"L'unico futuro della pizza passa attraverso il lavoro sul team, sui giovani e sulla loro formazione". Ne è convinto il maestro Franco Pepe della pizzeria Pepe in Grani di Caiazzo, incoronata migliore pizzeria del mondo dalla neonata classifica 50 Top Pizza, "per essere stato un apripista nel panorama contemporaneo per l'approccio alla qualità dei prodotti e alla contemporaneità del lavoro". Franco Pepe ha alle spalle una lunga carriera: pizzaiolo fin da ragazzo, ha lasciato la pizzeria di famiglia oramai adulto per mettersi in proprio. Oggi oltre alla pizzeria nell'alto casertano firma anche il menu de La Filiale all'Albereta. Commosso, Franco Pepe ha dedicato il premio al padre: "penso a lui ogni giorno, ai suoi occhi quando sono andato via per seguire la mia idea di pizza. È stata una strada fatta di testardaggine e sofferenza, ma oggi siamo qui e ne è valsa la pena. Spero mi abbia perdonato".

Le sue prime parole sono state per la sala, per i suoi ragazzi e per la crew. Quanto conta questo in un successo come il suo? "I miei collaboratori sono stati il primo pensiero. La prima cosa che ho fatto dopo la premiazione è stato tornare a Caiazzo e festeggiare con loro. Una volta si pensava che bastasse un pizzaiolo per fare una pizzeria, anche il fornaio non era considerato importante e invece ognuno lo è. Io sono orgoglioso e commosso quando, come è successo pochi giorni fa, i clienti mi dicono che vengono da me non solo per un'ottima pizza, ma anche per la gentilezza e il savoir faire dei ragazzi in sala. Sorridere e guardare negli occhi non è affatto banale".

Fare formazione. Quanto conta? "La base di tutto. Appena mi sono messo in proprio ho cominciato a spingere su questo punto: ho studiato i grandi chef, nelle loro cucine. Mi sono messo in gioco e ancora oggi mando i miei ragazzi a regolari corsi di approfondimento presso ristoranti importanti. E' fondamentale per la mia idea di cucina e di pizza, che vanno a pari passo. Ho rischiato, oramai dieci anni fa, scegliendo di destrutturare la figura del pizzaiolo come la si conosceva: ho suddiviso una sola figura in tante altre professionalità, almeno dieci, creando due squadre che si alternano fra pranzo e cena". Cosa significa per lei essere un pizzaiolo? "Dare emozioni al palato. Non sono solo "ammacca e inforna". Mi rifiuto di esserlo" Come legge il mondo della pizza oggi, diviso tra stili e litigi continui? "Io sono molto rammaricato per quello che vedo intorno a me, le polemiche, le accanite rivalità e spero che con questa serata Luciano Pignataro, Albert Sapere e Barbara Guerra (creatori dell'evento, ndr) abbiano dato un input al dialogo. Manca moltissimo, troppo, la volontà di confrontarsi nelle nuove generazioni: vogliono tutto e sibito, sono - in alcuni casi - arroganti. Nelle vecchie generazioni c'è più rispetto, anche per chi la pensa diversamente".

A cosa pensa sia dovuta questa differenza? "Alla storia, alla gavetta, alle sofferenze: oggi in molti cercano scorciatoie e pensano che con 25 giorni di stage o poche migliaia di euro per un corso si possa essere formati. La gavetta dei miei ragazzi passa principalmente dalla cucina, solo dopo si accede al banco di preparazione e al forno. Bruciare le tappe e usare la comunicazione per arrivare subito non fa bene alla pizza, tutt'altro. E lo dico con rammarico: faccio fatica a gioire di essere un pizzaiolo quando sento quest'atmosfera intorno a me". A che punto si sente della sua carriera? Progetti futuri ? "Non sono arrivato, ho ancora tanto da dare e voglio continuare a lavorare sulla formazione. Sento la mancanza di una scuola seria che formi il pizzaiolo, io sono Ambasciatore del gusto, e ogni volta che parlo con il Ministro competente, con ambasciatori e simili, lo sottolineo: la formazione non può essere delegata ad associazioni, mulini e privati, c'è bisogno di uniformità. Oggi ai pizzaioli è richiesta la responsabilità di essere ambasciatori dei sapori italiani nel mondo, non è una cosa banale e non può essere presa sottogamba".

La presentazione della classifica che vuole celebrare e censire a livello mondiale la migliore pizza napoletana e non solo è avvenuta nella splendida cornice di Castel dell'Ovo il 20 luglio. Dopo Pepe in Grani, la medaglia d'argento è andata a Gino Sorbillo premiato per la sua Gino Sorbillo ai Tribunali e come Migliore Comunicazione, subito a seguire la pizzeria Francesco e Salvatore Salvo di San Giorgio a Cremano. Non solo Napoli, però, nella 50 Top: al quinto posto la pizzeria I Tigli (Verona) di Simone Padoan, vincitore anche del Premio Sala, in ottima compagnia. Le regioni più rappresentate, dopo la Campania, sono state laToscana - al 36° la pizzeria Apogeo e ancora la Kambusa di Massarosa al 20° - e il Lazio dove Stefano Callegari ha fatto saltare ogni banco, premiato per ognuno dei suoi locali e insignito del premio Miglior Carta delle Birre per La Gatta Mangiona. Il percorso è stato lungo: novecento pizzerie selezionate, cinquecento provate da ben 107 ispettori in tutta Italia e, infine, solo 150 premiate. Un'attenta fotografia della pizza oggi, con un'attenzione ai protagonisti, senza tralasciare alcun aspetto del lavoro, dal premio speciale come pizzaiolo dell'anno, andato a Francesco Martucci de I Masanielli - 6° classificato - al giovane emergente Ciccio Vitiello, fino alla menzione come miglior Asporto, andato a Ciro Oliva, patron della pizzeria Concettina ai tre Santi.


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